
…non puoi dire Liguria senza sentire nelle narici il profumo della FOCACCIA
“Noi siamo quello che mangiamo”.
È da questa celeberrima citazione del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach che voglio partire con questo nuovo post. Sia chiaro a tutti gli studiosi che sono ben consapevole che il concetto espresso da questo pensatore dell’Ottocento non riguarda meramente ciò che ingeriamo, ma desidera rimandare a un giudizio ben più profondo e articolato.
Vero è anche, però, che una volta contestualizzate, le citazioni possono divenire fonte di riflessioni ulteriori. E io ho capito che voglio rendere questi post ancora più personali. Gli alimenti incuriosiscono proprio perché di essi ci nutriamo… e quando lo facciamo, proviamo GUSTO… accendiamo i ricettori delle papille gustative e VIVIAMO SENSAZIONI UNICHE grazie ad essi.
Io AMO mangiare, e di certo so di non essere l’unica sulla faccia della Terra a esprimere con fermezza questa considerazione. Tornando a Feuerbach, quindi, “Io sono quel che mangio”… E io ora sono in roulotte e vivo splendidi giorni di tranquillità, mare e amicizia nel pittoresco comune di Levanto. Levanto, Liguria…
e non puoi dire Liguria senza sentire nelle narici il profumo della FOCACCIA.
Gli ingredienti che combinati formano questo irresistibile impasto sono : farina, acqua, lievito e sale che, cotti al forno o alla brace danno vita a quella meraviglia dorata che occupa le vetrine di numerosissimi panifici, panetterie, alimentari e chioschi di ogni genere.
Piccolo accenno ai valori nutrizionali prima di tuffarci nel mondo delle curiosità:
se si prendono come campione di analisi 100 gr di focaccia, abbiamo come risultato circa 249 calorie, divise tra 57,5% di carboidrati, 14,1% di proteine e 28,5% grassi. Un pasto ricco insomma, ma chi di noi dopo una mattinata di sabbia e sole non ha affondato i denti in questa fragrante pietanza?!
Navigando in internet, notiamo che non esiste solo una focaccia, ma una vasta gamma di tipi come la focaccia genovese, o quella alle cipolle, o col formaggio di Recco. Scopriamo l’esistenza della focaccia dolce, quella con l’uva, o ancora la focaccia di Susa, tipica piemontese. Abbiamo una focaccia tipica anche in Puglia, la focaccia barese, che viene condita con pomodori freschi e olive, così come una focaccia veneta, una novese e poi la Crescia, la Cuddura, la Schiacciata fiorentina, la Strazzata e la Vastedda direttamente dalla Sicilia.
Viene da pensare al nostro stivale ricoperto da questa irresistibile flagranza, un ottimo pretesto per improvvisare un tour tra le nostre meravigliose regioni per confrontare le diverse lavorazioni!
La focaccia non unisce solo diversità geografiche: un veloce ex cursus letterario ci porta addirittura a Catone e alla sua opera “De Agricoltura”, in cui ci insegna come cucinare correttamente il Libum, l’antenato della focaccia che veniva offerto come libagione agli dei.
Riporto anche gli estratti di due scrittori contemporanei: il primo, Vittorio Giovanni Rossi, fu uno scrittore e giornalista italiano molto rinomato. Morì a Roma nel 1978 e nacque a Santa Margherita Ligure nel 1898, terra che emerge con tutta la sua forza e bellezza grazie a questo passo contenuto nel libro Maestrale, pubblicato nel 1976:
“Essa è la nostra focaccia ligure, niente a che fare con le pizze cosparse di condimenti; essa è una delle cose più semplici che ci sono, semplice come l’acqua di sorgente; è pasta di farina, sale e olio; è cotta nel forno su una lamiera di ferro triangolare; ha lo spessore di un dito mignolo, anche di meno; con le punte delle quattro dita di una mano e le quattro dell’altra, il fornaio la ricopre di buchi; in essi si raccoglie l’olio d’oliva come le lacrime di un pianto, ma è un pianto di gioia.
La focaccia bisogna mangiarla appena esce dal forno; allora brucia le mani, ha tutto il suo olio vivo e sano e caldo, e bisogna mangiarla camminando lentamente, come se si pensasse alla fondazione del mondo; e non si deve pensare a niente, solo alla focaccia che si sta mangiando.
E se si è in vista del mare, è meglio ancora: la focaccia allora si condisce anche di mare.”
Il secondo è un brano estratto dal romanzo di Gianfranco Carofiglio “Né qui né altrove. Una notte a Bari”, edito nel 2008:
“La focaccia è una delle cose più buone al mondo. Mi trattengo dal dire che è la più buona per mantenere un minimo di prospettiva e per evitare il delirio campanilistico. Ci sono quelle sottili e croccanti, quelle alte e soffici, quelle con l’aggiunta delle patate o del rosmarino e molte altre varianti. Anche se la vera focaccia è quella con pomodori, olive, bordi bruciacchiati e basta. Va accompagnata, possibilmente, da una bella bottiglia di birra molto fredda. Se poi uno ha proprio voglia di un’incursione nell’alta cucina, il piacere supremo è… la focaccia calda farcita con fette sottilissime di mortadella. La mortadella tagliata sottile, al contatto con la mollica calda e fragrante, sprigiona un profumo che fa impazzire le ghiandole salivari.
A differenza di molte cose buone, che sono scarse e spesso costose, la focaccia, a Bari, si trova ovunque ci sia un panificio. Cioè ovunque, e tutti se la possono comprare. La focaccia, a Bari, è una metafora dell’uguaglianza e uno dei pochi simboli (fra questi, degne di nota anche le cozze crude) in cui i baresi riconoscono la loro identità collettiva”.
Non trovate che tra Liguria e Puglia la focaccia diventi un gustosissimo trait d’union?
In ultimo, un fatto di cronaca che segna la supremazia di questo alimento: risale al 2001 infatti la vicenda svoltasi ad Altamura, in provincia di Bari, dove l’apertura di una focacceria ha avuto come conseguenza la chiusura di un fastfood. Non ci credete?! Andate allora a vedere il film documentario “Focaccia blues” uscito nel 2009 e diretto da Nico Cirasola.
Ed ecco come il profumo di focaccia ci ha accompagnato sulle strade della geografia, della letteratura e del cinema.
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